14.7.09

studiomobile

La realtà si fa sempre più italica quando l’occasione di collaborare con la Protezione Civile per le verifiche di agibilità dopo il terremoto in Abruzzo lancia quattro indomiti architetti nel loop della ricostruzione. Le modalità sono talmente atipiche ed improvvisate che subito uno e poi un altro compagno si dicono incerti e successivamente si chiamano fuori dall’avventura.
Rimaniamo quindi solo Paolo ed io a ricontattare i personaggi che avevamo conosciuto durante le verifiche, a cercare un posto dove sistemare il nostro Studiomobile e a figurarci un possibile soggiorno estivo a L’Aquila.
In una settimana l’incoscienza diventa realtà: abbiamo una piazzola con elettricità in un agricampeggio dove tutti sembrano simpatici ed affabili, persino i gestori; abbiamo uno studio ben saldo a terra (grazie a una ventina di picchetti piantati qua e là) a prova di vento e di pioggia e decentemente areato; abbiamo una quantità immonda di insetti che ci camminano su tavoli, sedie e computer, ma è il richiamo della natura e noi ne siamo pregni; abbiamo un costruttore abruzzese sincero e taciturno, un uomo tutto di un pezzo, che ci ingaggia come tecnici di fiducia e ci incarica da subito di un paio di lavoretti burocratici tanto per farci le ossa; abbiamo una possibile collaborazione per la progettazione partecipata e l’autocostruzione delle zone distrutte, case in legno antisismiche, che è la cosa che più ci attira. Abbiamo tutto per essere esaltati e fiduciosi, ma passando per la porta del Progetto C.A.S.E. un giorno non sospetto riceviamo una proposta che ci lascia attoniti: lo zampino del diavolo, la tentazione, il peccato di gola.
Saremmo stupidi a non farci prendere dal dubbio e a non considerare l’ipotesi, ma le new town berlusconiane come le chiamano non sono il motivo per cui siamo qui, anzi lo è l’esatto opposto. Quindi si decide di continuare per la strada buona, quella dell’aiuto alla comunità, della relazione con le realtà locali, della collaborazione e della ricostruzione partendo dal basso, dagli abitanti.
Alla luce di tutto ciò, considerato nottetempo che sì quel gruzzolo promesso dal progetto governativo mi avrebbe fatto comodo assai e non lo nego (mi vedevo già a passare il capodanno su un’isola tropicale), aldilà della questione morale, se proprio la si vuole considerare, di non riuscire a guardare in faccia la gente al momento di ammettere di lavorare per le invise case del berlusca, mi sono felicemente sorpreso a dichiararmi pazzo nel pensare di stare chiuso in un ufficio dalle 6 alle 21 per i prossimi 6 mesi. Un sogno mattutino rivelatore, come sempre la notte porta consiglio.