28.11.08

Uruguay

Qui il viaggio prende una direzione non prevista, ma accettata volentieri ed utile ai fini del visto turistico in scadenza.
Arrivo a Punta del Este che é una localitá di vacanza per argentini e brasiliani, una Rimini dell'atlantico, morta d'inverno e insopportabilmente affollata d'estate. Prendo appunti dai locali e mi dirigo a nord.
Punta del Diablo é un tranquillo villaggio di pescatori che con gli anni ha visto arrivare il turismo, ma conserva una calma invidiabile e adesso in primavera é estremamente piacevole. Ritrovo la coppia di inglesi che il giorno prima erano riusciti a perdersi in 2 isolati alla ricerca di un ostello inesistente e con loro contrattiamo una casa alla modica cifra di 25 dollari al giorno. Una giornata in grazia di dio in puro relax.
Ma é a Cabo Polonio che si manifesta la bellezza della costa uruguayana, un posto piú unico che raro, un promontorio di sabbia e prato, case basse e fatte in economia sparse come tende da campo. Ci si arriva a piedi dopo 8km di sabbia o in jeep turlupinati dall'autista di turno.
L'acqua é distribuita con una cisterna e conservata in cassoni e taniche mentre l'energia elettrica viene prodotta con pannelli solari. Tutto intorno il vento forte ed incessante di questi giorni, il rumore costante del mare come una tv che fa le righe, la notte che piú buia non si puó con le stelle che hanno nel faro l'unico concorrente al loro brillare. Magico, insospettabile scenario.
Il vento disegna e modifica le dune di sabbia e di conseguenza i percorsi tra le case, il mare é di quelli invernali come canta la Berté, intimidisce e invita a buttarsi dentro al tempo stesso, restituendo pezzi di natura, cadaveri di foche, leoni marini, delfini, persino una balena grossa come una barca a vela.
D'altri tempi la pace che dá la lettura di un libro davanti al caldo del caminetto mentre fuori ulula il vento.
Montevideo é una cittá senza alti ne' bassi, senza infamia e senza lode.
Il centro storico é disfatto dall'incuria e alcuni bei palazzi sono totalmente abbandonati al loro destino, il porto lo chiude il solito murone lungo tutto il perimetro. Quella che era stata pensata come una stazione ora é un mercato molto accogliente, il punto di arrivo della strada pedonale che taglia interamente la cittá vecchia. Garibaldi aveva casa da queste parti, ora é un museo (chiuso), mentre la cosa interessante é che gli altri musei della cittá sono gratuiti. Non sono eccezionali, ma nei giorni di pioggia é un ottimo diversivo.
Se non fosse stato per Alison avrei conosciuto solo la Montevideo degli inglesi, degli scandinavi e dei nordamericani, intrappolati tra le lunghe camminate per la zona pedonale e le attivitá notturne dell'ostello che ovviava alla scarsa nightlife infrasettimanale con grigliate, pizzate e quant'altro.
Invece ho l'occasione di conoscere un paio di posti da montevidense d.o.c. e di passeggiare per il bellissimo e poco illuminato parco pubblico sorseggiando mate, aspettando l'imbrunire e parlando dei charruas, gli antichi e leggittimi abitanti di queste terre, sterminati fino all'ultimo individuo.
L'ultima sera partecipo a un asado, una ricca grigliata di carne con amici di amici, danze e allegria. Gli uruguayani sono tranquilli ed ospitali, forse un po' démodée ma senza l'esuberanza degli argentini (dicono loro).
Arrivo a Colonia del Sacramento per prendere l'aliscafo per l'Argentina.
La cittadina é un gioiello della storia coloniale, piccola e chiusa nella sua penisola triangolare, con case basse e bianche, bastioni di protezione, piazze ed alberi, insomma tranquillitá e natura. Fondata dai portoghesi per tagliare fuori Buenos Aires dai traffici marittimi, viene palleggiata piú volte con gli spagnoli che avevano nel frattempo fondato Montevideo per oscurare la stessa Colonia. É singolare come la decadenza del commercio conferisca alle cittá portoghesi un destino di centri turistici in perfetto stato e ottimamente localizzati, anche qui che siamo in territorio spagnolo. Quasi che i lusitani andassero a scegliersi i posti non tanto per l'importanza strategica quanto per quella paesaggistica. Forse per questo hanno avuto un rapido declino, ma grazie a Dio ci hanno lasciato con la cognizione che c'é anche una maniera estetica di fare colonialismo.

Nessun commento: